Storia della Sacra Milizia dei Verdi



Dominazione Araba:

Quando l'Impero romano si disintegrò sotto l'urto delle inv vasioni barbariche, la Sicilia, dopo un secolo di disordini.
finì nelle mani di Giustiniano e degli Imperatori d'Oriente.
Per tre secoli, dopo il 535, il greco fu la lingua ufficiale del governo e la Chiesa adottò i riti greci e l'ubbidienza al Patriarca di Costantinopoli.
Quando Bisanzio fu spodestata, alla sua influenza subentrò quella dell'Islam. Gli Arabi, con la loro cavalleria veloce, travolsero rapidamente le guarnigioni greche. Nel 643, dieci anni dopo la morte di Maometto, avevano raggiunto Tripoli.
Nel 652 una forza di spedizione araba, proveniente dalla Siria, era sbarcata per breve tempo in Sicilia, ma un'invasione musulmana della Sicilia, su larga scala, ebbe luogo nell'827 e rappresentò una terribile sfida all'Europa cristiana.
Gli invasori, oltre agli Arabi, comprendevano i Berberi della Tunisia (Tunisi era ad appena un giorno di viaggio dalla Sicilia), Musulmani Spagnoli, forse anche Negro-sudanesi. Scopo iniziale di queste spedizioni era: impadronirsi di cibo e denaro, prendere schiavi e saccheggiare le chiese. Secondo lo storico Denis Mack Smith1 , alcuni cristiani giunsero persino ad incoraggiare gli invasori ed è certo che i napoletani, nell'843, aiutarono i Musulmani ad assediare Messina in cambio di concessioni commerciali.
Conquistata Messina, le forze saracene poterono controllare lo Stretto ed impedire praticamente alle navi bizantine di entrare nel Mediterraneo occidentale.
Dopo secoli di forti tassazioni bizantine, sembra che gli abitanti della Sicilia del tempo si adattarono di buon grado al cambiamento. È possibile che il nuovo regime apparisse meno opprimente di quello dei cristiani sul continente.
Le istituzioni locali furono spesso conservate e anche se molte chiese furono trasformate in moschee, in genere, i cristiani poterono vivere secondo le proprie leggi, con le stesse garanzie personali e sulle proprietà di cui godevano i Musulmani.
Naturalmente i cristiani, come popolazione soggetta, soffrivano di alcuni svantaggi. Potevano praticare la loro religione, ma non potevano suonare le campane delle chiese, non potevano portare la Croce in processione o comunque organizzare processioni o manifestazioni religiose, né potevano leggere la Bibbia entro il raggio dell'udito di un musulmano. Era vietato ai cristiani bere vino in pubblico e gli stessi avevano l'obbligo di alzarsi quando dei musulmani entravano nella stanza e cedere loro il passo nella pubblica strada. Era vietato inoltre ai cristiani portare armi, andare a cavallo o sellare i loro muli.
In conseguenza di tale situazione molti cristiani avevano smesso di praticare la loro religione per un processo naturale svoltosi nei due secoli di dominazione musulmana, anche perché - come già accennato sopra - i dominatori avevano adottato un'illuminata politica economica. Diminuite le tasse, il commercio fioriva. Le vie carovaniere conducevano all'abbondante oro del Senegal, del Sudan e dei territori del Niger, con il risultato che la moneta tunisina era divenuta la più forte del Mediterraneo. Era questo il quadro sociale, politico ed economico che consentiva ai messinesi una convivenza con gli occupanti Arabi, fatta di alti e bassi; convivenza che per un lungo periodo era stata relativamente tranquilla, grazie ad un "modus vivendi" concordato con i conquistatori, attraverso accordi che consentivano alla Città di mantenere i suoi privilegi ed immunità che essa vantava per essere stati concessi sin dai tempi in cui era città federata di Roma. Ai cittadini di Messina era concesso infatti di vivere entro le mura della Città, mentre i Saraceni abitavano fuori le mura verso la parte settentrionale.
Ma se all'inizio il Raxi, governatore della Città dal quale dipendevano altre cinque città siciliane, era molto disponibile verso la Città di Messina, nel corso di una dominazione durata 230 anni le cose cambiarono in peggio per i messinesi. I governatori musulmani successivi col tempo infatti dimenticarono le condizioni di pace trattate da chi aveva occupato la Città e gradualmente non le applicarono esigendo sempre nuovi dazi, imponendo intollerabili tributi e "soprattutto, con sacrilega empietà già mettevano mano alle cose sacre, non senza ingiuria delle Sante Imagini, e de' divini Sacramenti".
Tale situazione certamente era più sofferta da coloro che erano più sensibili verso i valori ed i diritti che si possono compendiare nei due grandi filoni delle libertà individuali e politiche e nella libertà di culto.
A Messina, in quel tempo, era molto sentita dai fedeli la tradizione che il Viatico (cioè l'Ostia consacrata) si portasse processionalmente agli ammalati ed ai moribondi nelle loro case.


Filippo Juvarra Veduta di Messina nell'antichità disegno, 1714. Torino, Biblioteca Reale

È facile immaginare (anche indipendentemente da precisi riferimenti documentali) quali profanazioni si compivano nei confronti del Santissimo e del Sacerdote che lo portava, da parte dei musulmani che detenevano il potere.
Si andava dagli sberleffi, alle ingiurie, fino agli sputi ed alle percosse, quando non accadeva di peggio, tanto che non tutti i sacerdoti avevano il coraggio di affrontare la pericolosa situazione.
Ciò rendeva insofferenti gli spiriti più nobili e più sensibili e coloro che non volevano tradire - come tanti avevano fatto - la Fede e la religione dei Padri.
Per farci un'idea di tale clima e del fatto che non tutti i cristiani si erano adattati per convenienza o per interesse alla dominazione musulmana, possiamo fare riferimento ad una cronaca riportata da Michele Amari nel suo libro Storia dei Musulmani di Sicilia3 dal quale apprendiamo che i Musulmani, già negli anni 842 e 843, quando conquistarono Messina, consideravano i messinesi "eroica gente in tutti i tempi" affermando che vari "gagliardi assalti non valsero a sbigottire i Messinesi" e che la Città cadde solo grazie ad un tranello strategico del capitano musulmano.
In un altro passo, sempre di fonte musulmana, la fierezza e la fedeltà dei Messinesi alla religione cattolica viene descritta sottolineando come gli Arabi si trovassero a Messina peggio che in altri centri della Sicilia. "Messina è per loro [gli Arabi] città inospitale, zeppa di adoratori delle croci nella quale non vi erano di Musulmani che un pugno di servi, per cui avveniva che il viaggiatore musulmano non vi fosse trattato che come bestia selvatica".
E d'altra parte tradizioni locali, ingrandite dalla successive e consuete persecuzioni degli Islamiti, fanno ricordo di "vicendevoli e accaniti odi di razza e di religione, di chiese mutate in moschee, del nostro maggior Tempio ridotto a vile abituro di cavalli".

La nascita della Sacra Milizia dei Verdi:

Infastidiva i dominatori, soprattutto, il corteo del viatico che allora veniva recato ai moribondi con particolare solennità. L'ostentazione processionale della pisside, del turibolo e del campanellino che tintinnava a pie sospinto, i ceri accesi e il monotono recitativo delle preghiere, muovevano la loro intolleranza e il dileggio.
Più di una volta, intristitisi gli animi, si venne alle mani e lo scontro assunse anche toni drammatici, di battaglia.
Allora alcuni nobili messinesi, stanchi di subire scherni e varie profanazioni nei confronti del Santissimo, oltre ad offese e percosse nei confronti dei sacerdoti che lo portavano ai malati ed ai moribondi, decisero di armarsi e di scortare in armi il SS. Sacramento tutte le volte che doveva percorrere le vie cittadine.
Convocati dal nobile abate Cataldo Porcio, alcuni notabili si riunirono in luogo segreto (forse in casa dello stesso Porcio) e decisero di costituire una milizia armata formata "dei principali e più coraggiosi cittadini messinesi [...] che havessero per fine, in quella gravissima tribolazione, e servitù moresca, di assistere dicontinuo al Santissimo Sacramento, e nell'andare per la città agli infermi, l'accompagnassero di tutto punto armati, difendendolo con Christiana bravura, dalle ingiurie de' nemici della fede Christiana, fino allo spargimento di sangue"4.
Fu detta Sacra Milizia dei Verdi o anche Compagnia dei Verdi e più tardi anche Guardia del Corpo del Santissimo Sacramento. Era composta da un corpo di volontari che adottò subito quale uniforme una sciarpa verde e le insegne verdi. Essi "andavano solamente armati à squadrone, per la difesa, ma con gli ordinarij loro vestiti"5.
Il Samperi, nel dare queste notizie riferisce peraltro che, al tempo in cui egli scriveva, i Verdi scortavano il SS. Sacramento indossando i sacchi di color verde. Doveva trattarsi del saio penitenziale usato dalle confraternite in processione fin quasi alla primi metà del Novecento, corredato da un cappuccio che copriva tutto il volto con due soli fori in corrispondenza degli occhi, e che con espressione popolare colorita, come molti tra gli anziani ancora ricorderanno, venivano chiamati Babaluci.
Sempre a proposito del colore dell'uniforme adottata dai Verdi lo stesso Samperi è il primo ad osservare che tale scelta era dettata dal desiderio di evitare gli scontri ed ottenere un risultato deterrente per prevenire tensioni, grazie alla considerazione che il verde è un colore sacro per i Musulmani.

Lo scontro alla Darsena:


Quadro Panebianco

Quando un giorno i Verdi comparvero sulla strada, attorno al SS. Sacramento, non sappiamo se vennero subito alle mani con i Musulmani. La cronaca del tempo ci ha tramandato diversi episodi di avvenute zuffe tra Verdi e Arabi.
La più celebre riguarda lo scontro avvenuto nei pressi della Darsena (odierna area compresa tra il Banco di Sicilia e la prospiciente via Primo Settembre). Un giorno mentre i Verdi scortavano armati il SS. Sacramento, un folto gruppo di soldati Arabi, sicuri del loro maggior numero, presero a dileggiare così ostentatamente i processionali da provocare la loro reazione. Dalle parole si passò ai fatti, si venne alle armi e ci furono morti e feriti da ambo le parti.
Dopo quell'episodio i Confrati capirono che non bastava più scortare in armi il SS. Sacramento e tre di essi, Nicola Camuglia, Ansaldo Patti e Jacopino Saccano, decisero di recarsi a Mileto, in Calabria, per.invitare il conte Ruggero il Normanno a sbarcare a Messina per liberare la Città e la Sicilia dalla dominazione Araba. E così infatti avvenne.
Secondo il Gallo però facevano parte della spedizione anche Mercurio Opizinga e Cataldo Porcio6.
Ritorna così il nome di quel Cataldo Porcio, promotore della costituzione della Sacra Milizia dei Verdi, che con molta probabilità ebbe molta parte nella chiarhata dei Normanni per la liberazione della Sicilia e "che ci fa ipotizzare come la spedizione a Mileto, non fosse una personale iniziativa dei tre Confrati che materialmente si recarono in Calabria per convincere il Conte Ruggero, ma fosse frutto di un disegno maturato all'interno di tutta la Compagnia dei Verdi, che si profila così, alle sue origini, come una società segreta a carattere patriottico, pur sempre con la dimensione religiosa ma anche con l'intento di riconquistare la libertà della fede e le tradizioni del culto cristiano.
A proposito di questa spedizione in Calabria, scrive anzi il Samperi che trattarono così felicemente col Conte Ruggeri che questi si recò a Messina, verso l'anno 1058 e liberò prima Messina e poi la Sicilia dal giogo dei Saraceni7 . Un grande quadro del pittore Michele Panebianco, il cui originale è andato distrutto, raffigurava l'episodio ed una grande tela del pittore Letterio Subba, custodita nel foyer del Teatro Vittorio Emanuele, forse destinata a sipario, illustra la stessa scena.

La conquista Normanna:

Con la venuta dei Normanni che ricristianizzarono la religione isolana in senso latino, la Sacra Milizia dei Verdi non si sciolse ma si potenziò.
Lo stesso Ruggero volle iscriversi tra i suoi Confrati e raccomandò ai propri congiunti e discendenti di fare altrettanto. Il suo esempio fu seguito da altri re successivi tra cui Guglielmo il Buono, Tancredi e un Federico (che il Buonfiglio non sa se fosse di Svevia o d'Aragona, ma che molto probabilmente doveva essere quest'ultimo visto che il primo amava più appoggiarsi ai Teutonici o ai Cistercensi), nel cui saio volle essere sepolto.
Successivamente divennero suoi Confrati anche Alfonso d'Aragona, l'imperatore Carlo V, Ferdinando II di Borbone e numerosi altri principi e notabili non solo di Messina.
Concludendo il racconto di questa storia lo stesso Caio Domenico Gallo dichiara con orgoglio la sua appartenenza alla "Nostra militare Compagnia dei Verdi,(in cui noi e tutti i nostri, per lunga serie di anni, abbiamo avuto l'onore di essere ascritti)".
Aggiunge, nella sua opera il Gallo8: Del primo ne rende testimonianza il P. Chiarello nelle memorie sagre, dove dice di aver ciò ricavato da un antico manoscritto. Del secondo ne fa fede un'antichissima pittura che vedesi su d'una Tavola in casa del barone D. Giov: Battista Porcio, Nobile Messinese, ove si scorge il ritratto al naturale del Conte Ruggeri, il quale vestito all'uso di quei tempi, con berrettone rosso e svolte d'armellino su gli omeri, con ammanto parimente rosso, e svolte d'ermellino sugli omeri, e con banda verde, che gli attraversa il petto, tiene la destra appoggiata su d'un ismisurato Spadone, e con la sinistra impugna una Lancia, ed allo stesso braccio in uno scudo leggesi lo che siegue: In nomine Dei aeterni Salvatoris nostri. Rogerius Siciliae et Calabriae comes adjuotor et defensor Christianorum. Post quamcum classe nostra Messanam appulimus, ut Siciliani a Barbaris eriperemus, Messanensibus auxiliariis fidelibus cooperatione et opera nobilis Cataldì Porcio quondam Tini Willelmi Magnum Saracenorum Amiram qui in pugna prope lauri fontem interfècit, suamque classem fugavi!; deque Barbaris triumphavit vexillis, sicutetiam fuit promotor et institutor Sacrae Militiae prò defensione Sanctissimi semperque Humiliter venerati Corporis Christi contro saracenorum iniquìtatem, in qua, quamvis indigne, Personam nostrum adscribi curavimus et successores nostros instanter rogamus, ut in eaprotanti mysterii veneratione se adscribant. Ideo propter ista aliaque magna merita tua mandamus omnibus subditis nostris, ut te tractent et reputent tamquam personam nostrani juxta excellentiam de utroque Catone nobilitatis tuae: sic volumus de mandato nostro jubemus. D. Messanae, D. V. Maji, A. D. MLXI. CI. M.M. B.B. Rugerius C.C. A. D. S.

I Verdi nella Città di Messina:

da scorta armata a scorta d'onore del SS. Sacramento edere i Verdi, che di anno in anno, alla processione del VCorpus Domini, reggono le aste del baldacchino, sotto il quale procede il SS. Sacramento nell'Ostensorio, portato dall'Arcivescovo e procedere accanto allo stesso, è oggi un fatto abituale per i messinesi. Per altri, oggi, la parola Verdi, viene associata più facilmente all'idea di quel movimento politico che si ispira prevalentemente all'ecologia.
Pochi oggi sanno che coloro che indossano le sciarpe verdi, durante la processione del Corpo del Signore a Messina e durante la Messa del Giovedì Santo nella Cattedrale della stessa Città, sono i discendenti di quei nobili e di quei cittadini dell'ordine senatorio che, agli albori dell'anno mille, decisero di organizzarsi in Compagnia militare, per fare da scorta armata al SS. Sacramento, quando questo veniva portato agli ammalati ed ai moribondi allo scopo già riferito di difendere l'Ostia santa ed i Sacerdoti che la portavano dalle profanazioni e dalle offese continue dei saraceni che avevano conquistato la Città e la tenevano sotto il loro dominio. Pochi sanno che la tradizione della scorta al SS. Sacramento, (divenuta poi da "scorta armata", "scorta d'onore") ha mantenuto una tale vitalità per un intero millennio e che, anche quando forzatamente interrotta per grandissime calamità naturali o per guerre ed altre vicende storiche, è sempre risorta con grande fede e senso di attaccamento alle origini, al servizio alla Chiesa cattolica ed al particolare carisma legato al culto dell'adorazione Eucaristica.
Nell'arco di un millennio, ma soprattutto dopo il Cinquecento a seguito dell'incremento delle Confraternite, la "Sacra Milizia dei Verdi", istituita come Compagnia armata di difesa del SS. Sacramento, sotto la protezione della Vergine Intemerata equivalente della successiva espressione "Immacolata", aggiunse a questo appellativo - dopo varie altre denominazioni - quello, ancora oggi mantenuto, di "Prototipa Arciconfraternita di Nostra Signora della Purificazione sotto il titolo Sacra Milizia dei Verdi".
Sconosciuto rimane il luogo dove la Compagnia dei Verdi ebbe la sua prima sede9 , anche se il Buonfiglio ritiene che possa trattarsi dell'antica sede dei Santi Quaranta, allora ubicata nei pressi del Piano Terranova, vicino al luogo dove poi sorse la chiesa dell' Intemerata o dell'Agonia. Infatti per un lungo periodo fu anche chiamata "Compagnia dell'Agonia"; denominazione che non ha riferimento alla passione di Cristo, ma semplicemente al cognome del canonico don Antonio d'Agonia, decano del Capitolo della Cattedrale, che donò il terreno per l'erezione del Tempio dedicato all'Agonia, dove la Compagnia ebbe sede1 0.
Afferma il Buonfiglio che nel 1381, il 4 giugno, "regnando la Regina Maria", presso il notaio Tuccio Rosselli venne registrata a favore della compagnia dei Verdi la concessione di un oratorio fatto costruire da don Antonio Agonia. L'atto recava precise condizioni tra cui l'obbligo di officiare in esso con rito greco e la sua sottomissione al Protopapa della chiesa. Per questo motivo per un certo tempo la Compagnia fu anche chiamata dei "disciplinanti della Grecia. Ma come osserva Salvino Greco non sembrano corrispondere le date. Infatti il primo oratorio, fatto costruire dal canonico don Antonio Agonia, risale al 1416 ed era ubicato in centro urbano, dietro la chiesa di S. Filippo d'Agirà, "dove si scende per tre scalini, il di cui proprio titolo è di Santa Maria d e l l i t r e R e ".
A parte le date, dai frammenti di notizie recuperate, sappiamo comunque che in questo tempio, il giorno dei defunti, la Compagnia dei Verdi si recava al completo per assistere all'officio dei morti in suffragio del loro benefattore.
Una seconda chiesa fatta costruire dal canonico D'Agonia, detta dell'Agonia nuova (e con vocabolo corrotto Unici), venne eretta nel 1429.
Successivamente in questa chiesa fu posto il quadro dell'Intemerata (Immacolata) proveniente dalla chiesa dei Santi Quaranta.
Da allora fu detta chiesa dell'Intemerata.
Non abbiamo notizie di questo quadro ed opiniamo che piuttosto che un quadro della Madonna, sia il celebre quadro di Girolamo Alibrandi che raffigura la Presentazione di Gesù al Tempio, tavola di m. 4,52x3,51 con 27 figure che fino al 1848 si trovava nella chiesa dell'Intemerata, Sede della Milizia dei Verdi. Questo quadro, poi trasportato nella chiesa di S. Nicolò al Corso (area dell'odierno Palazzo della Provincia), dove fu posto sull'altare maggiore, fu quasi distrutto insieme alla chiesa durante il terremoto del 1908.
Il quadro fu ridotto in 350 frammenti, che recuperati con paziente lavoro, consentirono il restauro a cura di Riccardo De Bacci Venuti prima (1922) e di Ernesto Geraci poi (1983-1984). Il quadro restaurato trovasi oggi al Museo Regionale di Messina.
La festa della Presentazione di Gesù al Tempio, che ancora oggi celebriamo il 2 febbraio, e contempliamo nel 4° mistero gaudioso del Rosario, viene anche attualmente celebrata solennemente; ed in molte chiese si mantiene la pratica della distribuzione delle candele benedette.
Questa festa, che si celebra a quaranta giorni dal Natale, proviene dalla liturgia orientale. In Oriente infatti era già conosciuta sin dal quarto secolo.
Nei secoli seguenti si estese anche in Occidente e si arricchì di vari elementi, come la processione penitenziale, che commemora l'atto della presentazione di Gesù al Tempio, e la benedizione delle candele (donde il nome di Candelora); questa ha lo scopo di mettere in rilievo il concetto di Gesù, "luce che illumina le genti". La festa è Cristologica e Mariana insieme: Cristo infatti "si offre" per le mani di Maria, anticipando l'offerta sacrificale sulla Croce, nonché l'offerta eucaristica che si rinnova sui nostri altari.
Da quando i Confrati, presero l'uso, il 2 febbraio di ogni anno, di distribuire gratuitamente le candele benedette nella chiesa dove aveva sede la Compagnia, quest'ultima fu anche chiamata Milizia della Candelora.
Fu consequenziale quindi chiamare la Compagnia Verdi, divenuta Arciconfraternita "Prototipa" a seguito del Concilio di Trento con il titolo ancora oggi posseduto di "Sacra Milizia dei Verdi - Illustre Prototipa Arciconfraternita di N.S. Maria SS. della Purificazione".
Con questo titolo si onorano le origini legate alla liturgia orientale (greco ortodossa) e si ricorda la chiesa, comunemente detta della Candelora, cioè di Nostra Signora della Purificazione (raffigurata nel quadro dell'Alibrandi) nella quale la Compagnia dei Verdi ebbe sede stabile sino al 1908.
Una conferma del possesso da parte dei Verdi della chiesa dell'Agonia, ci viene anche da uno studio inedito di Giuseppe Donato, dal quale rileviamo che la prima testimonianza della presenza di un organista a Messina nel sec. XVI, si trova in un manoscritto contenente "Conti, Mandati, Tornate ecc. dei Verdi", dove per l'anno 1551 è registrato: "[...] tt. 6 contanti per loro polisa a lo R.d" Presti Pasquali di Angelica; dissiro li donano per isso e per li altri sacerdoti, per loro elemosina et travagli per haver cantato in la nostra ecclesia di lagonia li laudi di nostra S.r a . In questa presenti quadragesima, et per sonari li organi oz. 6"1. La Sacra Milizia dei Verdi ebbe nel tempo anche numerosi compiti, onori e privilegi.
Nel 1497 il Senato affidò alla Compagnia dei Verdi il governo e la gestione dell'Ospedale dei Trovatelli, ubicato presso la chiesa dell'Annunziata dei Catalani, che si occupava del ricovero, cura e dell'assistenza dei bambini abbandonati.
Tale incarico cessò quando per iniziativa del viceré don Vincenzo Gonzaga e per volontà del successivo viceré don Giovanni De Vega, anche questo ospedale, con altri luoghi di ricovero e cura, venne assorbito nel Grande Ospedale S. Maria della Pietà (distrutto dal terremoto del 1908) fatto sorgere nell'area dove oggi si trova il Palazzo di Giustizia. Cessato il compito ospedaliero, l'importanza della Compagnia dei Verdi non venne mai messa in discussione. Solo quando successivamente nacquero a Messina altre Confraternite come l'Arciconfraternita di S. Basilio degli Azzurri (1542) e l'Arciconfraternita della Pace dei Bianchi, più volte il suo diritto di precedenza nelle processioni, a fianco del Vescovo e di prima scorta del SS. Sacramento, fu messo in discussione.
Controversie in tal senso si ebbero nel 1587 e poi ancora nel 1623 e nel 1631 risolte però sempre a favore della Compagnia dei Verdi "come quella che sempre con l'armi e con pericolo di vita [...] ha difeso e spalleggiato il SS. Sacramento"(motivazione di una Sentenza emessa nel 1631 dal Giudice della Monarchia don Giovanni Valdivescio).
Lo schieramento processionale dei Verdi ha particolari caratteri di originalità e specificità e la sua posizione di privilegio deriva dal suo essere in assoluto il più antico sodalizio nella storia della città e dalla sua specifica funzione di "Corpo di guardia del SS. Sacramento", diremmo oggi, dal suo particolare carisma costituito dal culto per l'Eucaristia.
Pur con qualche variante, lo schieramento processionale secondo una tradizione millenaria, ha visto i Verdi sempre vicini al SS. Sacramento.
Trascriviamo da una cronaca del XVI secolo: "Immediatamente dopo la doppia fila delle suore, dei monaci e di parte del clero [...] procedeva il resto del corteo, il loro stendardo associato da quattro fratelli con torce di cera accese, ed un Maestro di Cerimonie, seguito da una fila di tamburini armati all'antica d'armi bianche molto adorni e da un araldo d'armi con picca militare, spada al fianco e scudo al braccio coli'impresa delle tre spighe di frumento ed un grappolo d'uva, dinotante il mistero dell'Eucaristia". Seguiva quindi, sempre in doppia fila, il clero secolare, poi veniva il baldacchino, sostenuto ai pali dai senatori, sotto il quale stava l'Arcivescovo recante il Santissimo, e dietro ad esso il restante della Compagnia con in mezzo il Crocifisso sorretto da un Confrate Verde affiancato dal Viceré (se presente in Città) e da altri due Confrati. Immediatamente dietro venivano i due Governatori della Compagnia, uno del ceto nobile ed uno cittadino1 5 . Prima del Cinquecento il Governatore era regolarmente unico e tutti gli iscritti erano nobili.
In chiesa i Confrati si schieravano in corna evangelii, accanto all'altare maggiore, raccolti attorno al loro stendardo e al Crocifisso 1 6 . La Sacra Milizia dei Verdi sopravvisse a tutte le alterne vicende storiche, alle restrizioni politiche e militari ed agli eventi bellici, compresa la repressione spagnola del 1679, nonché a tutte le calamità naturali.
Dopo il disastro del 1908, ridotta nei ranghi per la morte di molti suoi Confrati, sopravvisse a stento riuscendo comunque a mantenere viva la sua tradizione che, a tutt'oggi, rimane tra le più genuine tradizioni messinesi ancora in vita.
L'inventario del 1904, che pubblichiamo in appendice, elenca molti oggetti e costumi che venivano indossati in dette processioni, in particolare un elenco riguardante i "vestimenti per i tamburini" (buste, corazze, spade, ecc).
"Fino agli anni cinquanta - ricorda Salvino Greco - prima che cominciassero a spegnersi le belle e nobili tradizioni che vivificavano Messina nei secoli scorsi, a ricordare la battaglia (o zuffa) della Tarzanà (Darsena) sostenuta dai Verdi contro le soldatesche arabe, nell'Ottava del Corpus Domini una nuova processione soleva fermarsi all'altezza della non più esistente Piazza Darsena (dintorni Banco di Sicilia, in Via Garibaldi con angolo Via Primo Settembre) e davanti ad un altarino improvvisato, i fedeli cantavano il Tantum ergo prima della benedizione Eucaristica e dopo di questa, l'inno Sangue del Primo Martire [...] che Antonio Laudamo musicò su testo in versi di Felice Bisazza.
Alla breve ma solenne cerimonia vi partecipava numeroso clero e l'Arcivescovo il quale officiava una Messa e impartiva ai Fedeli la benedizione solenne Eucaristica".
Nell'immediato dopo guerra e fino alla vigilia del Concilio Vaticano II, durante la processione del Corpus Domini, veniva realizzato l'altarino, ornato di fiori, sotto la lapide che ricordava lo scontro della Darsena e mentre la processione rimaneva ferma, con le numerose bandiere delle Associazioni giovanili di Azione Cattolica, alzate in segno di omaggio, l'Arcivescovo, accompagnato dal Governatore dei Verdi che reggeva l'ombrello cerimoniale aperto sul capo del Presule e sull'Ostensorio, si recava all'altarino e dopo il canto del Tantum ergo, impartiva la solenne Benedizione Eucaristica; ritornava poi sotto il baldacchino, sostenuto dai Verdi, per rientrare con la processione, percorrendo la via Primo Settembre, in Cattedrale. Abbattuto negli anni '60 il palazzo Mauromati (ex Fiorentino), sulla cui facciata a ricordare quei fatti, dopo il terremoto del 1908, era stata murata una lapide che ricordava quella battaglia con parole dettate da Gaetano La Corte Cailler, anch'egli iscritto alla Sacra Milizia, un'altra lapide, ad iniziativa della Compagnia dei Verdi e con il consenso dei nuovi condomini, fu posta il primo giugno 1986, sulla facciata di un nuovo edificio costruito vicino all'area del precedente.
Il testo della lapide recita:


Lapide Verdi del 1986